Ho sempre nutrito un certo fascino nei confronti di quella che chiamano l’arte di raccontare storie. Del resto, per me che scrivo da quando ho memoria, non si trattava solo di ascoltare quelle suggestive favole della buonanotte e da loro farmi cullare, quanto più di entrarci dentro, viverle in prima persona e magari cambiare il finale quando non gradito. Solo crescendo ho capito che quella che sentivo già una vocazione, in realtà, non solo aveva un nome, ma poteva diventare anche una professione, quella dello storyteller. Di cantastorie, nel settore del marketing e della comunicazione, ne è pieno il mondo. E meno male aggiungerei! Perché non c’è potere più grande delle emozioni sulle scelte d’acquisto, e anche su quelle che hanno a che fare con la nostra vita, è evidente. Perché è delle storie che ci innamoriamo, non degli oggetti, dei prodotti e dei servizi. Di storytelling, dicevamo, ne parliamo ogni giorno. Un po’ meno, invece, lo facciamo rispetto al transmedia storytelling, quell’insieme di tecniche, strategie e principi, che conducono verso una narrazione totale che include canali e formati differenti.
Utilizzato soprattutto nell’industria dell’intrattenimento e in quella cinematografica, lo storytelling transmediale permette di creare tutta una serie di narrazioni univoche, ma correlate e continuative, che contribuiscono a intensificare e completare in maniera totalizzante l’esperienza finale. Scopriamo insieme cos’è la narrazione transmediale e come può essere applicata anche nelle strategie di comunicazione.
Transmedia storytelling: cos’è
Prima di addentrarci nel fantastico mondo della narrazione transmediale, che vi anticipo sa apparire piuttosto controverso e insidioso almeno per chi ci si avvicina per la prima volta, scopriamo insieme le origini del termine e il significato a questo attribuito. Era il 2006 quando, nel suo testo Cultura convergente, Henry Jenkins utilizzava per la prima volta le parole transmedia storytelling per fare riferimento a una particolare tecnica di narrazione, o meglio a una capacità di raccontare storie grazie all’utilizzo di diversi media, con l’obiettivo di migliorare e perfezionare l’esperienza finale dell’utente.
Per spiegarlo in poche parole, tutti i canali utilizzati, così come i diversi formati, si trasformano in strumenti volti a diffondere nuove informazioni che contribuiscono allo sviluppo della storia principale, portando alla luce, a loro volta, nuove storie che si sostengono da sole. Prima di Henry Jenkins, qualcun altro aveva intuito il potere della transmedialità. Dick Higgins, poeta americano e fondatore del movimento Fluxus, aveva esortato gli artisti del suo network a utilizzare diversi supporti mediali per esprimere e far emergere tutto il loro pensiero creativo, vincolato, fino ad allora, in una sola disciplina. Era il 1964, e sulla rivista Something Else Newsletter appariva per la prima volta il concetto di intermedialità.
Quasi 40 anni dopo, mentre il mondo intero iniziava a prendere confidenza con una tecnologia digitale sempre più all’avanguardia, Henry Jenkins è tornato a parlare di intermedialità, anzi di transmedialità. Secondo quanto teorizzato dal saggista statunitense, infatti, questa nuova forma narrativa non è altro che una naturale conseguenza della convergenza multimediale, quella ibridazione che consente l’accesso all’informazione grazie ai numerosi e diversi strumenti tecnologici che abbiamo oggi a disposizione.
Nel mondo dell’intrattenimento, così come in quello cinematografico, il transmedia storytelling ha permesso di creare dei veri e propri universi narrativi che ampliano e integrano l’esperienza dell’utente fino a renderla totale. Basti pensare a una pellicola cinematografica, che non si limita a una saga o una trilogia, e neanche a un sequel, a un prequel o uno spin-off, ma va oltre utilizzando nuovi e inediti canali e formati. Fumetti, videogames, teaser e portali web, per esempio, non funzionano solo come sponda d’appoggio alla storia principale, ma ne creano di nuove. Tutte sono uniche, ma ognuna di queste è collegata alla storia principale. Ecco, questa è la narrazione transmediale.
I 7 principi del transmedia storytelling
Secondo Henry Jenkins, al fine costruire una narrazione transmediale e totale, è necessario seguire sette principi che sono spalmabilità e penetrabilità, continuità e la molteplicità, immersione ed estraibilità, costruzione di mondi, serialità, soggettività e performance. Scopriamoli insieme nel dettaglio.
Spalmabilità e penetrabilità
Spalmabilità e penetrabilità sono due dei concetti principali che permettono di creare una narrazione transmediale. Il primo si riferisce alla capacità dei contenuti di diffondersi attraverso tutte le reti sociali che abbiamo a disposizione, il secondo, invece, alla sua diffusione capillare. Non si tratta di viralità, almeno non come la intendiamo noi nell’era dei social network, quanto più di capacità di invitare il pubblico di riferimento a condividere quei determinati contenuti e a farlo interagendo con loro in maniera diretta, scavando a fondo nelle storie, portando alla luce nuovi e inediti elementi e diventando parte integrante della costruzione narrativa.
Continuità e molteplicità
Continuità e molteplicità, invece, sono due principi che necessitano di esistere per la costruzione di un unico universo narrativo. La continuità serve proprio a enfatizzare la coerenza tra le diverse narrazioni che ruotano intorno alla storia principale e gioca un ruolo chiave anche nella soddisfazione finale dell’utente che è chiamato a raccogliere i frammenti diffusi fino a quel momento, in modi e tempi diversi, per integrare con essi e completare la sua esperienza. Il principio di molteplicità, invece, permette di creare e quindi di accedere a tutta una serie di racconti alternativi che consentono di indagare personaggi, episodi ed eventi sotto altri punti di vista.
Immersione ed estraibilità
Il principio di immersione si riferisce direttamente all’esperienza dell’utente che usufruisce di quei determinati contenuti. Con la narrazione transmediale, le persone non sono solo chiamate a guardare o ad ascoltare le storie, ma a immergersi completamente in queste. Per farlo, si usa l’estraibilità, ovvero la capacità di trasportare gli universi narrativi nella realtà. Ne sono un esempio i parchi divertimento, gli eventi e gli hotel tematici.
Costruzione di mondi
Il principio di costruzione di mondi è l’essenza stessa del transmedia storytelling, e fa riferimento alla capacità di costruire un universo immenso e variegato, di diverse dimensioni e più livelli, all’interno del quale si snodano differenti storie.
Serialità
La serialità, come il termine stesso suggerisce, fa riferimento invece alla capacità di dare continuità alle informazioni relative a una storia, offrendo diversi e inediti collegamenti tra differenti narrazioni. Gli utenti, in questo senso, sono esortati a seguire i nuovi capitoli di una storia, che vengono resi disponibili su diversi canali e in differenti modalità, per mettere insieme tutti i tasselli di un puzzle che è sempre in divenire. È forse questo il principio sul quale, più di tutti, bisogna insistere, perché è proprio l’esasperazione della serialità, ottenuta dall’utilizzo di più strumenti, a creare la narrazione transmediale.
Soggettività
Come ogni storia che si rispetti, anche il racconto transmediale ha bisogno di soggettività. Nel transmedia storytelling, però, il punto di vista non è affidato a una persona soltanto. Grazie all’utilizzo di diversi canali multimediali è possibile fare emergere il punto di vista e le prospettive degli altri personaggi del racconto, ai quali viene dato il compito di creare nuove storie parallele.
Performance
Nel transmedia storytelling, il principio di performance ha a che fare direttamente con la capacità di rendere partecipi gli utenti alla creazione delle narrazioni. Mi spiego meglio: le persone non sono solo chiamate a entrare nel mondo appena costruito, ma sono invitate a interagire con questo, a completarlo e a modificarlo, con i loro personali punti di vista e le loro performance. I social network, in questo senso, rappresentano lo spazio perfetto dove muoversi. Un esempio calzante di perfomance è dato dall’impegno condiviso degli appassionati di Lost, che durante la messa in onda delle puntate della serie, hanno creato delle mappe topografiche per ricostruire l’aspetto dell’isola.
Differenza tra transmedialità e crossmedialità
Prima di andare a sviscerare quello che è l’esempio più emblematico di transmedia storytelling, e scoprire come questa tecnica narrativa può essere utilizzata nel marketing e nella comunicazione, una precisazione è doverosa. Molto spesso, infatti, la narrazione transmediale viene confusa con quella crossmediale, ma tra le due, in realtà, c’è una grandissima differenza che risiede proprio nei principi appena elencati.
La crossmedialità, infatti, permette di raccontare una storia attraverso tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione. Questo vuol dire che quello stesso racconto, anche se adattato ai differenti canali con l’obiettivo di performare al meglio, resterà comunque invariato. Oggi possiamo dire che tutti, o quasi, facciamo storytelling crossmediale ogni qualvolta scegliamo di includere nella nostra strategia di comunicazione differenti canali social, siti web e blog.
La narrazione transmediale, invece, non racconta mai la stessa storia, anche se a quella fa riferimento. Si usano canali e formati differenti che passano per il web, per la radio, per il piccolo schermo e per gli eventi virtuali e fisici, e che diventano le porte di accesso per scoprire spunti e prospettive differenti che si sostengono da soli, ma che a loro volta possono contribuire a comprendere l’universo creato.
L’emblematico caso di Marvel Cinematic Universe
Per capire di cosa stiamo parlando e farlo per davvero, possiamo entrare nel mondo straordinario e variegato della Marvel Cinematic Universe, proprio lei che può essere considerata l’azienda che meglio ha sfruttato la narrazione transmediale.
Dopo il declino dell’epoca d’oro dei fumetti, l’azienda ha pensato bene di creare un universo all’interno del quale raccogliere tutte le straordinarie storie e le avventure dei più famosi Supereroi come Spiderman e gli Avengers, per esempio. Lo ha fatto sviluppando film, saghe e spin-off, ampliando l’esperienza degli utenti con serie televisive, videogames, strategie di merchandising, cortometraggi, eventi, parchi a tema e persino crociere. Anche i social network, in questo senso, sono diventati strategici ai fini della narrazione, perché invitano gli utenti a restare connessi, a scoprire i teaser, a esplorare i making off e più in generale a seguire quella serialità di cui abbiamo parlato tra i principi del transmedia storytelling.
La serie televisiva Agents of S.H.I.E.L.D, per esempio, ha una storia a se stante, ma numerosi e interessanti sono i collegamenti con The Avengers. Anche tutte le pellicole incentrate sui Supereroi, e più in generale sui singoli personaggi, diventano nella visione globale della storia dei tasselli da posizionare al giusto posto per comprendere al meglio l’universo narrativo che non smette mai di arricchirsi con nuove e inedite prospettive.
La narrazione transmediale nella comunicazione
Anche se il concetto di transmedia storytelling è appartenuto, fino a questo momento, soprattutto all’industria dell’entertainment, la sua comprensione, e la conseguente applicazione, può risultare strategica ai fini della comunicazione e del posizionamento del brand.
Raccontare storie, infatti, è quello che la maggior parte delle azienda fa oggi per avvicinarsi ai compratori e condividere con loro valori, emozioni ed esperienze, che non si limitano a mostrare il singolo prodotto o il servizio in vendita, ma tutto ciò che questo rappresenta. Uno status, un ricordo, un sentimento o un’identità: è questo che le persone acquistano davvero, al di là delle finalità e degli utilizzi. Ma se oltre alla costruzione della storia le aziende creassero dei veri e propri universi?
La narrazione transmediale, come abbiamo visto, ci permette di farlo. E questo è ancora più facile oggi dato che abbiamo a disposizione tutta una serie di strumenti tecnologici che ci consentono di arricchire l’esperienza degli utenti e di trasportarli proprio in quell’universo che parla per noi, che parla di noi. Utilizzare questo modello di narrazione, nella costruzione delle strategie di comunicazione e marketing, e più in generale nel posizionamento del web, risulta una strategia efficace e funzionante sotto ogni punto di vista. Non si tratta più, infatti, di vendere un prodotto o un servizio, ma tutta una serie di esperienze che diventano fruibili su diversi canali e in diversi formati, e che consentono ai compratori di entrare in quelle storie, di diventare parte integrante di quel nuovo universo.
Per imparare a comunicare in maniera transmediale occorre creare dei contenitori all’interno dei quali devono essere riversati valori, filosofie e storie che hanno a che fare con tutti i prodotti e i servizi dell’azienda, e che sono capaci di viaggiare a velocità differenti e su veicoli diversi in maniera trasversale, aggiungendo di volta e in volta elementi diversi e originali che sviluppano e aiutano a comprendere la storia. Ma bisogna anche imparare a costruire tutta una serie di porte d’accesso che consentono realmente alle persone, agli utenti e ai potenziali clienti di entrare in quel mondo, di interagire con esso e di avere un ruolo, perché solo così possono farne parte e solo così possono replicarlo.