Sapere scrivere è importante, farlo bene è necessario. Ma questo basta a produrre dei contenuti che piacciono a Google? Sì e no, ovviamente, perché come abbiamo spesso detto nel mondo della comunicazione non c’è nulla di facile e non esistono manuali o regole scolpite nella pietra. Le capacità di scrittura e la creatività di un content editor sono sicuramente una conditio sine qua non per fissare degli standard elevati nella produzione, ma per piacere a Google (e agli altri motori di ricerca) ci vogliono un paio di accortezze in più.
Una cosa che bisogna sicuramente tenere presente è che tutto cambia molto velocemente. Ciò significa che le regole di oggi potrebbero non andare bene domani e che c’è solo una cosa che non muterà e, anzi, diventerà sempre più essenziale: mettersi nei panni dell’utente che cerca un determinato argomento e che vuole leggerlo. Pronti a saperne di più?
Cosa sono i contenuti che piacciono a Google?
Partendo dal presupposto che in questo articolo non parleremo nel dettaglio dei segreti della SEO e dei cambiamenti avvenuti nel tempo, occorre fare comunque un accenno alla materia. Di sicuro, per produrre contenuti che piacciono a Google occorre avere ben chiaro che, al giorno d’oggi, senza la search engine optimization non si va da nessuna parte. Non è un’affermazione drastica, ma la pura e semplice verità: Google e gli altri motori di ricerca imparano continuamente dalle ricerche degli utenti (sì, sono loro a imparare, non noi) e di conseguenza affinano la loro capacità di premiare/penalizzare specifici contenuti.
Di conseguenza, un contenuto che piace a Google è sicuramente un contenuto che risponde alle nozioni di base e alle linee guida che il motore di ricerca (e i suoi “colleghi” Bing e Yahoo) aggiorna continuamente e mette a disposizione degli utenti e dei web master. Questo significa che, per iniziare, deve essere chiaro, pertinente alla domanda che l’utente pone per mezzo di una o più parole chiave, avere una buona struttura interna organizzata per titoli e sottotitoli e, soprattutto, essere leggibile e scorrevole. Sembra facile, vero? Invece non sempre lo è.
Scrivere contenuti per Google o con Google?
Uno degli errori che si commettono più spesso, infatti, è quello di scrivere contenuti per Google, pensando di avere a che fare con un robot che classifica e premia in maniera automatica. Niente di più sbagliato: i contenuti che piacciono a Google non sono scritti per lui, ma con lui. Ciò significa che si devono compiere diversi sforzi per arrivare al giusto livello di SEO copywriting senza che il testo appaia meccanico e forzato. Facciamo un esempio pratico: ai suoi esordi, essendo ancora “in via d’apprendimento”, Google premiava i contenuti che ripetevano una parola chiave e la inserivano forzatamente in ogni titolo/sottotitoli possibile.
Ciò portava a dei testi/contenuti che effettivamente si posizionavano benissimo in serp, ma erano qualitativamente scadenti: difficili da leggere, ridondanti, ripetitivi. Nel giro di poco tempo, gli algoritmi dei motori di ricerca si sono aggiornati e la pratica di forzare la parola chiave (keyword stuffing) non solo è diventata obsoleta, ma è anche divenuta uno dei motivi per cui più spesso un contenuto viene penalizzato. L’obiettivo di Google, al giorno d’oggi, è essere d’aiuto a chi stende i contenuti, che devono sì seguire le sue regole, ma che devono perseguire un unico e vero scopo: aiutare e accontentare l’utente.
Una sigla magica: UX
È per questa ragione che quando si vogliono produrre contenuti che piacciono a Google si deve tenere conto la UX, ovvero la user experience. Negli scorsi anni (e ancora oggi) parlando di UX writing si tende a riferirsi in maniera generica al microcopy, ma la verità è che l’utente è e deve essere al centro di qualsiasi contenuto. L’obiettivo di qualsiasi cosa si produca, sia esso un testo, sia un’immagine, sia un video, sia persino un ads sui social, è piacere all’utente, che deve trovare ciò che viene prodotto utile, accattivante, divertente e che deve essere stimolato anche a tornare sul sito/sui canali dove vengono prodotti i contenuti.
Uno strumento utile che possiamo utilizzare è lo Story Strategy Blueprint: si tratta di uno schema che aiuta a tenere presente che il protagonista della nostra storia è il lettore/cliente/utente che navigherà verso di noi. Lo Story Strategy Blueprint ci ricorda che chi fa la comunicazione (dunque chi scrive/produce contenuti) non è mai l’eroe: è sempre l’aiutante a disposizione del protagonista, un po’ come se l’utente fosse Zorro e noi fossimo Sancho Panza. L’obiettivo di chi vuole produrre contenuti che piacciono a Google, dunque, è quello di assicurarsi che i bisogni e i desideri dell’utente rimangano in primo piano.
Di cosa ha bisogno l’utente?
A questo punto, potrebbe essere spontaneo chiedersi: quali sono i bisogni e i desideri dell’utente? La risposta è sotto i nostri occhi ogni giorno, perché noi stessi siamo utenti di tutti i motori di ricerca: facilità di fruizione, velocità di risposta, coerenza e chiarezza. A nessuno piace cercare/imbattersi in qualcosa difficile da leggere, lento, poco coerente o poco chiaro: è solo una perdita di tempo e il lettore/l’utente si sente privato di quei momenti preziosi che, invece, potrebbero essere sfruttati meglio.
Dunque, oltre appunto a usare le strategie SEO, nella produzione di contenuti ci si deve assolutamente chiedere: “se io fossi l’utente, mi piacerebbe”? “Ciò che scrivo è davvero utile”? Google, negli ultimi anni, ha più volte ribadito che ogni contenuto prodotto deve essere a «vantaggio degli utenti e qualsiasi ottimizzazione deve essere pensata per migliorare la sua esperienza». Se i contenuti che produciamo non sono un vantaggio per chi legge/compra/naviga, come possiamo pretendere che vengano premiati?
Contenuti che piacciono a Google: hero & helpful
Ci sono altre due paroline da ricordare se si vogliono produrre contenuti che piacciono a Google: hero e helpful. La prima, hero, che significa eroe, è usata da Google e dagli esperti SEO (in primis Giorgio Taverniti) per definire i contenuti “eroici”, ovvero quei contenuti che diventano pionieri nel singolo settore. Un contenuto hero è una risorsa unica nel suo genere, che possiede “di più” rispetto a qualsiasi altra in rete. Ovviamente non è facile da produrre, ma non si deve mai smettere di provare, anche perché questi contenuti sono fra i più premiati in assoluto.
L’altra parola, helpful, è la chiave dell’Helpful Content Update di Google l’aggiornamento del motore di ricerca destinato a diventare sempre più travolgente. L’Helpful Content Update ha un obiettivo chiaro, che abbiamo già ribadito ma che vale la pena sottolineare ancora: penalizzare i contenuti creati solo per posizionarsi bene e premiare quelli che aiutano e informano le persone. Come si legge nella pagina dedicata all’update, «un contenuto di qualità è un contenuto di cui è chiaro lo scopo, sia esso semplice o benefico». Vale dunque la pena ricordare, dunque, che i contenuti che piacciono a Google sono e saranno sempre di più quelli che rispondono ai reali bisogni degli utenti.
Chi ci sta leggendo?
Ma chi sono gli “utenti”? Alle volte questa parola può farci sembrare i destinatari dei nostri contenuti come dei veri e propri alieni, creature senza volto che arrivano sui nostri canali per puro caso. Ecco, quando si pensa a scrivere contenuti che piacciono a Google, in realtà, non dare “forma” agli utenti è un grave sbaglio. Per questo è sempre bene chiederci chi ci sta leggendo creando una buyer persona e/o una reader persona: fare il ritratto del nostro utente tipo, magari dandogli nome, cognome e carattere, è il primo passo per capire cosa desidera.
Perché ci sta leggendo?
Fatto il ritratto, come dicevamo prima, bisogna appunto capire quali sono i bisogni della nostra buyer/reader persona: perché dovrebbe leggerci? Come possiamo aiutarla (ricordiamoci: non siamo noi gli eroi, siamo sempre e solo gli aiutanti) a ottenere ciò che vuole? Solo facendoci queste domande i contenuti che produrremo avranno successo.
No, i contenuti che piacciono a Google non sono solo parole
Fino a qui abbiamo parlato, in linea di massima, di contenuti scritti. In realtà però i contenuti che piacciono a Google non sono fatti solo da parole. Innanzitutto, da un paio d’anni a questa parte, i motori di ricerca classificano anche i contenuti dei social (per questo ci teniamo a ribadire che la narrazione transmediale di un brand è ormai fondamentale) e li premiano.
Poi, per chi non lo sapesse, dalla fine del 2020 a oggi Google da rilevanza anche alle emoji, che vengono considerate un supporto visivo/semantico e che, se usate a dovere, danno anche una spinta nel posizionamento in SERP. Infine, la cosa più importante (e attuale): i motori di ricerca riservano attenzioni particolari alle immagini e ai video. E non bisogna mai sottovalutarle.
Le immagini viste da Google
Le immagini sono diventata croce e delizia di chi vuole davvero produrre contenuti che si posizionino bene su Google. Anticamente (circa 10 anni fa, insomma) si scriveva un testo e poi si inserivano delle immagini così, molto all’acqua di rose. Oggi, invece, le regole sono molto, molto cambiate. In primis, chi si occupa di SEO sa che ogni immagine deve avere degli specifici attributi (Title e Alt Text), ma soprattutto, sono più che passati i tempi in cui una foto/grafica/immagine valeva l’altra.
Ogni immagine scelta deve essere pertinente a quanto si sta comunicando e, nel caso in cui venga incorporata all’interno di un testo, deve essere coerente con ciò che il paragrafo/l’articolo sta dicendo. Fondamentale, poi, è la qualità: Google penalizza le immagini con risoluzione scadente e/o troppo piccole, che vengono considerate solo un ostacolo per l’utente.
I video e le spinte utili
Occhio anche ai contenuti video: Google li passa al setaccio perché sono ormai diventati uno dei mezzi più potenti per colpire e accattivare gli utenti (e dunque per guadagnare traffico). Nel giro di 5 anni, infatti, sono state sempre più le persone ad affidarsi a contenuti visivi per avere accesso alle informazioni che desiderano e Google, come gli altri motori di ricerca, si adegua alle loro esigenze.
Cosa significa questo? Che se si vogliono produrre contenuti video che piacciono a Google, bisogna pensare a quale possa essere la loro reale utilità e renderli non solo belli e catchy, ma anche e soprattutto coerenti all’informazione/al bisogno di chi ne fruirà.
Piacere a Google: talento e tormento
Nel corso di tanti anni di attività, ci è capitato davvero spesso di sentire dire che piacere a Google è anche questione di fortuna. In realtà non è così: la fortuna c’entra ben poco. Produrre contenuti che piacciono ai motori di ricerca è decisamente questione di talento e di tormento. Talento perché coniugare le regole della scrittura SEO, con le sue caratteristiche peculiari e le attenzioni che richiede, alla produzione di testi/contenuti scorrevoli e piacevoli può essere ostico.
Tormento perché, a dirla tutta, non si può star tranquilli un secondo: Google, come abbiamo già accennato, è un’intelligenza artificiale che apprende dalle ricerche degli utenti. Più gli utenti lo usano, più si modifica, impara e si adatta, cambiando continuamente le carte in tavola e scombinando tutti i piani, anche quelli dei più esperti. L’unico modo per rimanere al passo, purtroppo e per fortuna, resta studiare: la comunicazione cambia velocemente. E noi dobbiamo cambiare con lei.