Brand Journalism: cos’è e perché è importante per le aziende

admin
17 Novembre 2022

Anche se può sembrare un po’ superfluo dirlo, ribadiamolo: viviamo in un mondo estremamente incentrato sui contenuti online, dunque ciò che è in rete ha un peso, una rilevanza e un’impatto. Per questo sapere cos’è il brand journalism è essenziale. La presenza online, infatti, impone alle aziende/ai marchi/alle imprese di aprirsi verso il pubblico e raccontarsi non solo in modo creativo, ma anche fattuale, informativo e consapevole e il “giornalismo di marca” (tradotto in modo molto grezzo) è il modo migliore per raccontare eventi e traguardi reali che, al contempo, abbiano un alto valore per il pubblico.

In sostanza, potremmo dire che il brand journalism è quella branca del brand storytelling che consente di testimoniare i tanti e variegati aspetti della cronaca di ciò che accade all’interno dell’azienda/del marchio/dell’impresa creando una nuova dimensione (più vera, tangibile e a tratti più seria) del valore percepito dal pubblico.

Che cos’è davvero il brand journalism?

Abbiamo cercato di spiegare subito cos’è il brand journalism, ma adesso è necessario “esplodere” il concetto per poter avere una visione più completa. Il brand journalism è, concretamente, l’azione di un brand che utilizza i propri canali e i propri media per pubblicare articoli su storie reali che lo riguardano, con l’obiettivo di coinvolgere i lettori. In sostanza, è come se un’azienda/impresa/marchio pensasse a sé proprio come a un giornale, facendo propria la mentalità giornalistica e usando i professionisti del settore.

Tracciando idealmente una retta tra due punti, dove il primo è il content marketing e il secondo è il giornalismo tradizionale, il brand journalism starebbe proprio nel mezzo. Come mai? Perché cerca di informare le persone in modo obiettivo, senza sensazionalismi o eccessi creativi e fantasiosi, ma al contempo cerca anche di convincere il pubblico a conoscere i valori dell’azienda/del brand/dell’impresa e ad abbracciarli. Chiaramente non può essere critico e obiettivo come il giornalismo tradizionale, ma non è neanche orientato alle vendite come il content marketing.

Utilizzare questa strategia di comunicazione, dunque, significa non concentrarsi direttamente sull’incremento delle vendite del prodotto/servizio offerto dal brand, ma aprire un vero e proprio canale informativo che faccia sapere a tutti cosa succede all’interno dell’azienda, in cosa si sta impegnando e in cosa è coinvolta. In definitiva, dunque, mentre il content marketing punta tutto al risultato, che è la conseguenza delle decisioni che gli utenti devono prendere in relazione al prodotto/servizio, il brand journalism si concentra maggiormente sull’effetto e sull’impatto che le storie quotidiane del brand suscitano.

Una breve storia del brand journalism

Ma com’è nato il brand journalism? Quando si è iniziata a definire davvero questa strategia? Per saperlo dobbiamo fare un passo indietro e guardare al 2004, scoprendo che, in realtà, il brand journalism affonda le sue radici nel franchising di un brand notissimo: McDonald’s. Sì, perché quell’anno Larry Light, Chief Marketing Officer del notissimo fast food, dovette fronteggiare una situazione di crisi relativa all’uscita del documentario Super Size Me di Morgan Spurlock, che addossò al brand la colpa delle cattive abitudini alimentari americane testimoniando che la multinazionale puntasse più sulla quantità che sulla qualità.

Così, Larry Light si impegnò per reinventare una parte della narrazione di McDonald’s, che registrava cosa succedeva all’interno del brand e ne raccontava le idee, l’impegno e le iniziative mirate alla trasparenza relativa alla qualità dei suoi prodotti. Ancora, l’uso di giornalisti altamente qualificati permise a Light di dimostrare che l’azienda era in grado non solo di guardarsi intorno, ma anche di rispondere alle domande e alle esigenze di diverse nicchie di consumatori.

Allontanandosi dal tradizionale content marketing, Light cambiò l’immagine di McDonald’s creando dei contenuti a metà tra il documentaristico, il giornalistico e il narrativo. Questa tecnica, coniugata ovviamente anche ad altre strategie di comunicazione e a uno storytelling ben radicato e solido, ebbe successo e generò nuovi lead, coinvolgendo i clienti e diventando d’ispirazione per molte altre aziende, che iniziarono a seguire il suo esempio a ruota.

Content marketing e brand journalism: le differenze

Abbiamo già accennato alla differenza fra content marketing e brand journalism, parlando dell’ideale retta fra due punti che porta dal content marketing al giornalismo tradizionale. Tuttavia, considerando che queste strategie non devono essere opposte ma complementari, vale la pena fare un piccolo approfondimento extra per eliminare qualsiasi punto oscuro. In effetti, content marketing e brand journalism hanno due importantissimi obiettivi comuni: aumentare la consapevolezza del marchio fidelizzare i clienti. Ciononostante, il modo in cui cercano di arrivare a conseguirli è molto, molto diverso.

In cosa sono diversi content marketing e brand journalism

Cerchiamo di essere molto, molto sintetici: il content marketing guarda l’utilità, mentre il brand journalism guarda alle storie tangibili e reali. Per quanto riguarda il content marketing, dunque, il desiderio è quello di coinvolgere il proprio target offrendogli qualcosa che desidera o di cui ha bisogno per poi portarlo a una conversione, a un’azione decisiva che porterà all’acquisto dei prodotti/dei servizi. Per arrivare a questo scopo, il content marketing può puntare sul tono di voce del brand, sfruttare immagini, meme e contenuti virali e fare leva anche su ciò che è effimero.

Il brand journalism, invece, si incentra sulla capacità di capire quali elementi del brand (o delle sue campagne in atto, o della sue strategie) e quali eventi/accadimenti imminenti o già avvenuti possono essere trasformati in storie da trasmettere al pubblico. Il desiderio diventa quello di coinvolgere il pubblico per mezzo di contenuti con un valore reale, che non siano effimeri ma duraturi e che creino fiducia, restituendo un senso di fiducia.

Poi, si può dire che un’altra differenza fondamentale sono gli argomenti: il content marketing tende a produrre contenuti su ciò che interessa al pubblico nel senso più legato all”intrattenimento”, con digressioni verso tutto ciò che è utile per il consumatore, che celebra il brand come valido aiuto per il target e che parla al pubblico come se fosse l’unico e solo eroe della storia. Il brand journalism, invece, umanizza il brand: parla della sua gente, delle sue sfide, dei case study, degli hack che sfrutta per fare ciò che fa.

Sostenitore del marchio o avvocato del pubblico?

Tenendo in considerazione che, come abbiamo già detto, il brand journalism e il content marketing sono complementari, come si fa a capire su cosa concentrarsi in una specifica fase della vita del brand/dell’azienda/dell’impresa? La risposta è più semplice di quanto si pensi: basta chiedersi se l’obiettivo, in quel momento, è dare più peso a ciò che sostiene il marchio o a ciò che difende il pubblico. Sì, perché il content marketing sostiene il marchio, è la sua cheerleader: lo celebra e lo esalta. Il brand journalism, invece, racconta ciò che tutela il pubblico.

Dunque, se si vuole puntare sulla celebrazione del brand, il content marketing è la scelta giusta perché sviluppa contenuti in linea con il messaggio del brand, li pubblicizza, crea engage, intrattiene ed emoziona. Se invece si vuole puntare sul difendere il pubblico, manifestando come il brand si impegna per tutelarne i diritti/la salute/il benessere/la sicurezza (e via dicendo) la soluzione è il brand journalism. Il brand reporter, infatti, sfrutta le storie degne di nota e le mostra al pubblico come se fossero uno “scudo” per lui, qualcosa che ne garantisce la tutela in ogni momento.

Perché il brand journalism è importante al giorno d’oggi?

D’accordo, abbiamo capito cos’è il brand journalism, come si differenzia dal content marketing e com’è nato ma… perché dovrebbe essere così importante? E perché un semplice blog che racconta le storie quotidiane di un brand non è la stessa cosa? Sempre cercando di essere sintetici, potremmo dire che il brand journalism è fondamentale al giorno d’oggi e deve differenziarsi dal blog più legato al content perché si sente l’esigenza di canali specifici che siano dedicati al racconto della vita quotidiana/delle azioni/dell’organizzazione del brand.

Questa esigenza nasce da un sempre più diffuso desiderio, dal parte del pubblico, di comprensione e trasparenza. Il brand journalism risponde al bisogno di autenticità che, per forza di cose, il content marketing non soddisfa. Proprio come accade sfogliando un giornale, quando si “sfogliano” le notizie di brand journalism la percezione è che chi sta dall’altro lato declini ogni cosa nella maniera più chiara e utile possibile per il lettore, senza schierarsi troppo. Questo approccio porta a una serie di benefici, di cui ora parleremo nel dettaglio.

Costruire consapevolezza e autorevolezza

Il brand journalism aumenta l’impatto del brand in rete e sul pubblico, creando e diffondendo consapevolezza. Pubblicando storie uniche, verificate e tangibili, le persone (quindi il target) diventano più consce di chi sia e di cosa fa il brand, sposandone i valori non solo per le tracce effimere lasciate con le specifiche campagne ma anche e soprattutto per le sue azioni a lungo termine.

Contestualmente, il brand journalism crea autorevolezza: trasforma il marchio in un thought leader [leader di pensiero, ndr] di riferimento, che guida le riflessioni e le considerazioni sul pubblico non solo in merito a ciò che concerne il brand, ma in maniera più ampia sugli argomenti trattati (per riprendere il caso di McDonald’s, Light riuscì a portare l’attenzione sulla selezione degli ingredienti scelti per i panini e/o sugli allevamenti cui il brand si rivolgeva), creando discussioni sui topic più importanti dell’azienda.

Creare un hub educativo

Diciamolo pure: fare brand journalism non significa per forza parlare solo di ciò che concerne il brand. Una delle scelte migliori (e più seguite) è quella di declinare l’attualità relativa alle notizie di settore per parlare al pubblico degli argomenti che stanno a cuore al brand. Si possono dunque trasmettere delle news relative al proprio campo, rivolgendosi a giornalisti ed esperti che trattino gli avvenimenti in modo ampiamente specializzato e le mettano in relazione con quanto accade all’interno dell’azienda/impresa/marchio.

Ciò che ne deriva è la creazione di un vero e proprio “hub educativo”, che non solo informa il pubblico sull’attualità, ma lo sensibilizza su eventuali fenomeni in atto, sulle innovazioni e su tutto ciò che potrebbe essergli utile e potrebbe richiedere la propria attenzione, istruendolo e informandolo in maniera completa.

Aumento dei lead

Non c’è niente da fare: il modo migliore per entrare in contatto con un pubblico è essere onesti, ed essere onesti è proprio il core del brand journalism. Pubblicando articoli seri e trasparenti sul brand, le persone interagiscono e rispondono, cosa che porta in maniera naturale alla conversione e alla generazione di lead. È un po’ come quando si vuole portare avanti una relazione sana: continuando a essere sinceri (anche quando si commettono errori) si ha la certezza di non sbagliare.

Per altro, con il brand journalism non solo si generano più lead, ma si generano lead qualificati: il pubblico arriva perché è interessato agli argomenti del brand e aumenta velocemente la sua conoscenza su chi sia, come si muova e cosa faccia, cosa che porta a un aumento di consumatori informati che si muovono in modo più fluida verso l’acquisto di prodotti/servizi.

Il brand journalism come opportunità

Alla luce di tutto questo, è chiaro che il brand journalism sia una strategia comunicazione che può dare tante, tantissime opportunità a marchi/aziende/imprese. Usando lo storytelling in stile giornalistico e ricorrendo a esperti che si occupino di comunicati stampa, a brand reporter e a esperti di settore, si apre un mondo in grado di creare una comunicazione trasparente e coinvolgente con il proprio pubblico, che seguirà il brand passo per passo celebrando i suoi successi ed essendo persino benevolo quando subisce delle sconfitte.

I brand reporter, idealmente, dovranno essere neutrali e più obiettivi possibile e dovranno imporsi di raccontare sia i lati positivi che quelli negativi delle storie: infatti, il brand journalism non è pubblicità, è una voce il più possibile imparziale all’interno del marchio/impresa/azienda che sì, vuole accattivare il pubblico, ma anche guidarlo passo passo creando un legame che duri, che sia sempre vivo e che risponda a tutte le eventuali domande e perplessità.

In più, il brand journalism è una possibilità concreta di attirare l’attenzione di buyers personas che prima erano lontane dal brand: magari non sapevano cosa/chi fosse il marchio, ma sono interessati al settore o hanno bisogno dei suoi prodotti/servizi. Raccogliere, scrivere e pubblicare storie per mezzo del brand journalism è deicisamente ciò che serve per guadagnare e mantenere l’attenzione di questi potenziali clienti.

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