In una gelida giornata di dicembre del 2016, in piena campagna elettorale per le Presidenziali Usa, un tizio di nome Edgar M. Welch guida per ben sei ore da casa sua fino a Washington DC, dove apre il fuoco in una pizzeria con un fucile d’assalto. Sei ore prima aveva letto sul web una notizia che parlava di quel ristorante: secondo la fonte, la pizzeria Comet Ping Pong sarebbe stata il quartier generale di un gruppo di pedofili gestito niente meno che dalla ex segretaria di Stato, nonché ex first lady, Hillary Clinton.
Dopo un giro di mail tra gruppi complottisti, la notizia era stata diffusa sulle piattaforme social di 4chan, 8chan e Twitter da alcuni giornalisti di orientamento conservatore, membri dell’alt-right. L’alt-right è la nuova estrema destra alternativa americana, suprematista, xenofoba, slegata da partiti, sigle, simboli, “un movimento eterogeneo di estrema destra che esiste soprattutto su internet” come l’ha definito il New Yorker. Fortunatamente, nell’assalto nessuno è rimasto ferito.
Alcune influenti testate Usa, come il New York Times e il Washington Post, avevano subito smentito la news, ma non è bastato: una presunta confutazione su YouTube dell’articolo del NYT aveva persino ottenuto in poche ore ben 250mila visualizzazioni. Il complotto del “Pizzagate” è considerato uno dei più celebri esempi di fake news dei tempi moderni.
Fake news: cosa sono e perché sono diventate un problema enorme
Banalmente, le bufale sono notizie false che riguardano fatti o eventi, a volte reali a volte no, create ad hoc per diffondere disinformazione e ingannare i lettori. Secondo la definizione accademica di David M. J. Lazer in “The Science of Fake News”, le fake news sono “informazioni fabbricate che imitano il contenuto dei media nella forma ma non nel processo o nell’intento organizzativo”. I creatori di notizie false, a loro volta, ‘scansano’ le norme e i processi editoriali che i media usano per garantire l’accuratezza e la credibilità delle informazioni.
La sacrosanta democratizzazione di Internet ha espanso la conoscenza, ma sempre più persone, in tutto il mondo, hanno iniziato bulimicamente a “ingurgitare e vomitare” titoli sensazionalistici, frasi ad effetto, righe sparse e decontestualizzate, senza leggere gli articoli per intero e men che meno verificarne la fonte. Questa progressiva – quasi sempre inconsapevole – accettazione di informazioni errate ha portato a confusione, panico e incapacità di discutere di fatti reali.
I media mainstream tradizionali sono vincolati da standard etici di buone pratiche per i giornalisti: verifica e critica delle fonti, veridicità, accuratezza sono i principi cardine che guidano il lavoro del giornalista. Ma non basta. Con Internet, tutti possono facilmente creare contenuti, presentarli come vogliono e diffonderli senza rispettare gli standard etici. Questa tendenza sempre più diffusa, mischiata alla disintegrazione dell’intermediazione – la cosiddetta disintermediazione -, al sovraccarico di informazioni disponibili ovunque e alla rapidità con cui circolano le notizie, è terreno fertilissimo per le bufale.
Ma le fake non sono certo un’invenzione dei tempi moderni. Alle 8 di sera del 30 ottobre 1938, gli americani sintonizzati sulla radio CBS sentirono la voce di Orson Welles che, durante il notiziario, annuncia un’invasione aliena. Poco dopo il radiogiornale, Welles, che interpreta un astronomo dell’Università di Princeton, tale professor Pierson, comincia a commentare le notizie che arrivano da Grover’s Mill, cittadina del New Jersey dove sembra essere atterrato un misterioso meteorite. Questo è l’inizio di uno dei programmi radio più famosi della storia, la “Guerra dei mondi” di quel genio di Welles. Il panico di massa che si scatenò, anche se probabilmente ridimensionato rispetto a quanto ci si è immaginati per anni, viene studiato ancora oggi.
Perché si scrivono le bufale: chi ci guadagna
Una domanda che spesso fanno a noi giornalisti è perché le persone scrivono notizie false. I motivi sono diversi: in primis per innescare conflittualità e divisione tra persone o gruppi di persone: per renderle disorientate, fragili, insicure, vulnerabili, frustrate, arrabbiate. In una parola, facilmente manipolabili.
Un altro motivo è, molto semplicemente, guadagnare attraverso i nostri click: ogni volta che apriamo un link, qualcuno ci guadagna. Purtroppo, gli affari dei fabbricatori di fake news sono floridissimi: uno di questi qualche tempo fa ha dichiarato di guadagnare 10mila dollari al mese (circa 9.500 euro) solo dalle entrate pubblicitarie generate dai suoi articoli. Il contenuto ha poca importanza: basta attirare gli utenti su siti venduti agli inserzionisti, e il gioco è fatto.
Non a caso le fake news possono anche essere un ottimo strumento per diffondere truffe e frodi: tanto più sono verosimili e sfruttano nomi famosi di personaggi, istituzioni o trend, tanto più diventano efficaci.
Ma ci sono anche altri motivi. Spesso, le notizie false possono essere progettate per manipolare qualsiasi cosa, dai mercati azionari alle opinioni politiche ai processi decisionali. Le fake news interferiscono nelle elezioni politiche, nei conflitti geopolitici, nelle economie dei Paesi.
La “fabbriche di troll” e il loro impatto politico
In occasione delle elezioni americane del 2016 che abbiamo citato prima, veri gruppi istituzionalizzati, vere “fabbriche di troll”, hanno architettato ad arte quantità enormi di notizie false per influenzare le opinioni politiche, interferendo con il processo democratico. Se le persone non sono più in grado di distinguere tra le informazioni reali e inventate e tra fonti legittime o meno, le bufale possono avere effetti devastanti sulla democrazia.
Nel 2013, l’account Twitter ufficiale dell’Associated Press pubblica un articolo che parla di esplosioni alla Casa Bianca, affermando che l’ex presidente Barack Obama è rimasto ferito. Subito si crea il panico: la Borsa americana crolla, spazzando via miliardi di dollari in pochi secondi. Altrettanto velocemente si capisce che l’account dell’AP è stato violato e che la storia è falsa. Ma i titoli ormai si sono volatilizzati: le perdite economiche sui mercati azionari generate da questa fake sono ingentissime.
A febbraio 2023, in pochi minuti fa il giro del mondo la notizia di Rupert Murdoch che ammette pubblicamente sotto giuramento che Fox News, emittente americana di cui è proprietario, ha deliberatamente appoggiato le fake news di Donald Trump in campagna elettorale. The Donald ha ripetutamente sostenuto che le elezioni Usa del 2020 erano state truccate. Secondo i documenti del tribunale del Delaware, Murdoch e altri dirigenti della Fox pensavano invece che fosse Joe Biden il vero vincitore della tornata elettorale, e che le tesi cospirazioniste di Trump non avessero nessun fondamento. Tutto è partito dalla causa mossa dalla società Dominion Voting Systems, che produce software e hardware per le elezioni Usa, che ha citato in giudizio Fox News per 1,6 miliardi di dollari. Così la verità è venuta a galla.
L’effetto amplificatore dei social: perché le notizie false si diffondono così tanto
Pregiudizi radicati o nuovi, negazionismi vari, minacce, complotti, slanci di onnipotenza, tratti patologici: nelle fake news c’è davvero di tutto. Universi ibridi che si intersecano, e le cui convinzioni si rafforzano grazie allo straordinario potere amplificatore dei social. Diciamo che ci sono soprattutto tre caratteristiche della presentazione delle notizie da parte dei social che aumentano le probabilità che le persone cadano nelle fake news.
Primo, i social come Facebook, Instagram, TikTok, YouTube e così via agiscono come aggregatori di notizie indipendenti dalla fonte, cioè raccolgono e presentano notizie da un’ampia varietà di fonti, indipendentemente dalla qualità, dall’affidabilità o dalle tendenze politiche della fonte originale.
Secondo, molte notizie ci vengono trasmesse sui social tramite amici, gruppi di appartenenza o persone che seguiamo, accompagnate da approvazioni, implicite o esplicite, del messaggio: “Like”, cuoricini, faccine arrabbiate, condivisioni e così via ci fanno sentire più “vicini” al messaggio stesso (ecco la famosa disintermediazione di cui sopra).
Terzo, gli algoritmi delle piattaforme social tendono a premiare in termini di “impression” nei feed personali e quindi di “views” articoli più popolari o che hanno generato più interazioni o che confermano quello che è già il nostro punto di vista, gonfiando così ancora di più l'”effetto wow” che il messaggio è in grado di generare, e spingendo l’utente, lavorando parecchio sulla sfera dell’inconscio di ognuno di noi, a sentirsi maggiormente coinvolto e quindi anche più propenso ad interagire.
Il risultato? Tutti e tre questi elementi insieme aumentano le possibilità che gli utenti dei social condividano notizie false.
Qualche esempio celebre di fake news
Due degli esempi più lampanti di fake recenti sono senz’altro il Covid e la guerra in Ucraina.
Le fake news sulla guerra in Ucraina
L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 è stata seguita da una guerra dell’informazione, una campagna di disinformazione su larga scala mista a propaganda mirata e teorie del complotto, soprattutto sui social. NewsGuard, team di giornalisti Usa che da anni combatte la disinformazione, ha identificato 311 siti web che pubblicano disinformazione filo-russa per giustificare la guerra di aggressione di Putin.
Una guerra psicologica, “ibrida”, “infowarfare” in gergo. La si combatte con operazioni psicologiche, le cosiddette PsyOps, che utilizzano diverse strategie e differenti media per manipolare l’opinione pubblica. Il generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore della Difesa russa, lo chiama “approccio olistico al danno” ed integra nella guerra asimmetrica le milizie irregolari con l’attacco degli hacker e quello dei troll.
A Mosca opera la Internet Research Agency, esercito ombra di “psico-guerrieri” che combatte quotidianamente la guerra dell’informazione in Rete. Dietro questa realtà c’è l’oligarca Evgenij Prigozhin, meglio noto come lo “chef di Putin”, lo stesso dell’esercito mercenario privato Wagner Group. I bot, algoritmi e macchine che lavorano no stop, fanno tutto il resto. I produttori di materiale propagandistico, come Russia Today o Sputnik News, sono stati ripensati per esportare la fake fuori dai confini nazionali, nelle varie lingue, sfruttando personaggi di nazionalità diverse.
Una delle grandi bufale della guerra in Ucraina è che non c’erano “morti viventi” a Bucha. Le immagini di civili uccisi nella città ucraina di Bucha, vicino a Kiev, hanno inorridito il mondo all’inizio di aprile. Centinaia di cadaveri giacevano sparsi per le strade della città alla fine di marzo dopo il ritiro delle forze russe. Le autorità ucraine hanno parlato di un “deliberato massacro” compiuto dai soldati russi. La Russia ha ribattuto con la propria accusa, sostenendo che i video di Bucha erano una “produzione di propaganda messa in scena”.
Una narrazione a sostegno di Putin è presto apparsa sui social media, affermando che le vittime erano in realtà attori, e un video pretendeva di dimostrare che alcuni corpi erano stati visti muoversi. Ma una ricerca del New York Times ha rilevato che le immagini satellitari della società statunitense Maxar hanno mostrato che i corpi erano stati disseminati per le strade di Bucha dal 19 marzo, e in alcuni casi già dall’11 marzo. >Queste immagini hanno chiaramente confutato le affermazioni russe secondo cui i corpi hanno iniziato a comparire solo dopo che le sue truppe avevano abbandonato la città il 30 marzo.
Altra fake news quella sui “nazisti ucraini” che si sarebbero ribellati ai Mondiali di calcio in Qatar. In linea con la presunta denazificazione dell’Ucraina che Putin ha ripetutamente addotto come giustificazione per la sua invasione, sono apparse una serie di foto e video che affermano di mostrare nazisti ucraini ai Mondiali in Qatar. Il video in questione era un falso. La presenza di uomini ucraini in Qatar, si è scoperto, era del tutto inverosimile, dal momento che gli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni non potevano lasciare il Paese e che l’Ucraina non si era nemmeno qualificata ai Mondiali. La polizia nel video non indossava neanche le uniformi in uso per l’evento.
Le fake news sul Covid
Come sappiamo, la pandemia ha svelato, o potenziato, lati oscuri e paranoici di moltissime persone. La disinformazione sul Covid è proliferata ampiamente sui social. Dalla vendita di false cure, come gargarismi con limone o acqua salata e iniezione di candeggina, a false teorie del complotto secondo cui il virus sarebbe stato bioingegnerizzato in un laboratorio a Wuhan, ai vaccini che sarebbero stati un modo per iniettarci il 5G o farci ammalare tutti, provocandoci infarti nel breve-medio periodo. Un sondaggio YouGov ha rilevato che circa il 28% degli americani e il 50% dei telespettatori di Fox News pensavano che Bill Gates stesse pianificando di utilizzare il vaccino Covid per implementare i microchip nelle persone.
Non a caso, il film cospirazionista “Plandemic” è apparso online il 4 maggio 2020 raccogliendo milioni di visualizzazioni e diventando rapidamente uno degli esempi più diffusi di disinformazione legata al Covid. Il video promuove pericolosi consigli sulla salute, ad esempio, suggerendo falsamente che indossare una maschera in realtà attiva il virus. Le notizie false sul virus sono state promosse anche dalle élite politiche, da Trump al presidente brasiliano Bolsonaro, che hanno affermato che l’idrossiclorochina “funziona ovunque” come trattamento contro il Covid.
Come spiega bene Gianluca Castelnuovo dell’Università Cattolica nel suo studio “Inoculating Against Fake News About COVID-19”, le cospirazioni collegate al Covid possono avere un impatto negativo anche sull’efficacia delle strategie di contenimento: le fake news possono distorcere radicalmente la percezione del rischio da parte delle persone. La disinformazione sul Coronavirus è stata collegata anche ad attacchi, avvelenamenti di massa e atti di vandalismo. Solo nel Regno Unito, le persone hanno dato fuoco ad almeno 50 antenne telefoniche in risposta alla cospirazione del 5G.
Un’altra fake news collegata al Covid riguarda il vaiolo delle scimmie, che secondo queste fonti sarebbe proprio il risultato dei vaccini, quelli di AstraZeneca in particolare, visto che contiene adenovirus attenuato dagli scimpanzé come vettore per il DNA della proteina spike del Coronavirus. Ma ci sono anche fake su presunti cambiamenti nel DNA umano tali da rendere le donne sterili, e molto altro.
Cosa stanno facendo i colossi del web per arginare le fake news
Cosa si sta facendo per arginare questo fenomeno? Pochissimo. L’acchiappaclick aggressivo, regola non scritta cui ormai quasi tutti i giornali e i siti di news sono obbligati a piegarsi per non morire (sì, anche i “migliori” lo fanno sistematicamente, anche se dicono di no…), assieme alla ridondanza continua, agli slogan urlati, tutti meccanismi mediatici ampiamente – colpevolmente, anche – premiati da Google (Discover docet…), non fanno altro che portare a una mistificazione perenne della realtà, dove tutto è vero e tutto è falso allo stesso tempo.
Un’assuefazione relativista solo in superficie, che, in realtà, è proprio il contrario, cioè un inno mascherato al conformismo più estremo, meglio se instagrammabile. Un’illusione di originalità perenne. Adulti e giovani “reagiscono”, non pensano più.
Va detto, a onor del vero (per restare in tema…) che i giganti appena citati – da Google a Meta – stanno iniziando a reprimere le notizie false vietando ai siti sospetti di fare pubblicità sulle loro piattaforme e chiedendo agli utenti di segnalare articoli disonesti. Ma la strada è davvero ancora lunghissima.
Come riconoscere una fake news
Dunque, che fare? Come sapere se un articolo è vero o falso? Come riconoscere una fake news? Tranquilli, perché qualche regola, semplice, c’è. In attesa della guida definitiva anti-bufala, ecco qualche dritta:
- se il titolo della notizia è troppo esagerato, probabilmente sarà falsa, o almeno costruita ad arte sul nulla: ci fanno credere cioè che dentro l’articolo troveremo informazioni incredibili, imperdibili, sconvolgenti, novità pazzesche
- se il titolo della notizia o lo stile in cui è scritto il pezzo fa un po’ troppo leva sui sentimenti, soprattutto se negativi, diffidate sempre
- se l’articolo riporta pochi dati, non cita fonti o le cita sbagliate, sfoggia nomi altisonanti di presunti esperti che mai avete sentito o centri di ricerca sperduti chissà dove, fatevi venire il dubbio
- se le foto sono scandalistiche, morbose, sgranate, decontestualizzate, eccessive, idem
- se l’articolo contiene errori di battitura e grammaticali, se si fa un uso improprio di maiuscole e punti esclamativi o puntini di sospensione, è più che plausibile che vi stiano fregando
- se la notizia arriva da un sito che suona troppo simile a un altro conosciuto, è una fake (negli Usa è il caso di http://abcnews.com.co/, sito falso, che scimmiotta l’ABC Network News http://abcnews.go.com, con logo e URL quasi identici).
Come tutelarsi
Come proteggersi e cosa fare per scansare le fake news? Qualche consiglio:
- confrontate sempre fonti diverse
- fate una semplice e veloce ricerca su Google, anche scrivendo proprio “fake news” accanto alla parola chiave che state cercando
- utilizzate direttamente fonti affidabili, certe, note, evitate i siti di news spazzatura
- occhio alle date: spesso le bufale nascono da fatti o eventi passati
- sfruttate la “Ricerca avanzata” di Google, news.google.com che cerca solo su testate giornalistiche
- cercate le informazioni di contatto: una mail, un indirizzo, un numero di telefono, piccoli riferimenti essenziali
- fate attenzione prima di condividere l’articolo sui social
- leggete, leggete, leggete: giornali, riviste, ricerche, studi, approfondite sempre.
Qualche strumento utile contro la disinformazione
Debunking e fact-checking
A fronte di tutto ciò, cosa possiamo fare per evitare e limitare i danni delle fake news? Ci sono alcune azioni che sono fondamentali: si chiamano debunking o fact-checking, che altro non sono che il semplice smontare scientificamente le bufale costruite in Rete.
Tuttavia, sappiamo che queste attività non servono a granché se si considerano gli effetti su chi ha già sposato una causa: se siete convinti al 100% che il vaccino Covid sia fatto per controllarci, siete irrecuperabili, e potenzialmente pericolosi, anche solo verbalmente. Se invece qualche dubbio ce l’avete, allora forse potreste non proprio cambiare idea, ma almeno alleggerire le vostre convinzioni errate.
Uno studio di alcuni anni fa pubblicato su PLOS ONE One da Walter Quattrociocchi dell’IMT di Lucca e da Fabiana Zollo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia chiariva bene questo concetto: “I post di debunking stimolano commenti negativi, non raggiungono il pubblico complottista, oppure lo fanno reagire nel senso opposto a quello sperato”. Insomma, per il complottista l’attività di debunking è pure peggio.
Diversi giornali al mondo – ancora troppo pochi in Italia – hanno poi una sezione ad hoc dedicata al fact-checking: LaVoce.info o Open ad esempio consentono di leggere articoli di debunking appositamente redatti, che verificano i fatti di politica, scienza e attualità e smentiscono le notizie false che circolano in rete.
Per quanto ci sia evidenza che i fact-check tendono a diffondersi più lentamente sui social rispetto alla disinformazione, in rete trovate anche diversi siti specializzati nel debunking, oltre a Wikipedia che aiuta sempre a orientarsi e che pubblicato una lista di siti di fake news sempre aggiornata:
- International Fact-Checking Network
- Bufale.net
- Butac.it
- Factcheckers.it
- Factcheck.org
- Snopes.org
- PolitiFact.com per la politica.
Qui qualche programma utile:
- gli strumenti di Google per il fact-checking
- Fullfact
- BS Detector
- researchgate.net
- academia.edu
- TinEye per le immagini.
Prebunking
La nuova frontiera della lotta alla fake news si chiama prebunking, che Google ha deciso di sviluppare dopo aver visto risultati promettenti nell’Europa orientale. Google è pronta ad avviare una nuova campagna, inizialmente in Germania, che mira a rendere le persone più resistenti agli effetti corrosivi della disinformazione online, imparando a riconoscere le bufale prima.
Il gigante della tecnologia prevede di pubblicare una serie di brevi video che evidenzino le tecniche comuni a molte affermazioni fuorvianti. I video appariranno come pubblicità su piattaforme come Facebook, YouTube o TikTok in Germania. Anche in India è in corso una campagna simile.
Prebunking è in pratica insegnare alle persone come individuare false affermazioni prima che le incontrino. La strategia sta guadagnando sostegno tra ricercatori e aziende tecnologiche.